di Carlo Vassotto
Ci sono stagioni propizie e altre meno, in cui tutto viene da sé oppure si complica a dismisura. E poi ci sono uomini e caporali, per dirla con la sorridente saggezza di Totò.
L’annata di Vidal è di quelle che non è facile da vivere, di quelle in cui i caporali si smarrirebbero ma che gli uomini veri sanno gestire e affrontare con intelligenza, determinazione, fiducia e coraggio. Ce n’è voluto tanto di coraggio per prendere quel pallone, rifiutando con gentilezza ma assoluta fermezza l’offerta di aiuto di Tevez e posizionarlo sul dischetto, a undici metri da Subasic e da un destino che avrebbe potuto diventare terribilmente fosco in caso di errore.
Il calcio di rigore, in quest’anno calcistico, si è dimostrato materia ostica per la Juve, le è già costato una supercoppa a Dubai e ha mietuto fior di vittime illustri, Arturo e Carlitos compresi. Non sembrava quindi una facile opportunità di gloria per chi si apprestasse a tentarne la trasformazione, tanto meno per il cileno che già aveva sulla coscienza la palla-gol più ghiotta costruita dai bianconeri nel primo tempo del quarto di finale di andata di Champions contro il coriaceo Monaco, spedita oltre la traversa tra gli improperi della gente dello Stadium. Fallire di nuovo sarebbe stato letale per Arturo, per il suo morale, per la sua autostima. Nonostante ciò Vidal non si è tirato indietro, anzi, non ha avuto alcun tentennamento. Su quel pallone era riposta tutta la sua voglia di voltare pagina, di lasciarsi alle spalle le sofferenze e gli stenti post intervento chirurgico e post mondiale, le difficoltà fin qui incontrate nel percorso stagionale in bianconero, permeato da un’onerosa ricerca di una condizione di forma ottimale rimasta invece sfuggente e ondivaga, ben lontana da quella scintillante sfoggiata nei precedenti tre anni sotto la guida di Antonio Conte.
La botta sotto l’incrocio dei pali alla destra del portiere monegasco, esemplare ed imparabile, ha spazzato via ogni paura e restituito alla Juve il Vidal dei tempi migliori, almeno in fase di interdizione. Impressionante il numero di palloni razziati in ogni dove da Arturo, fondamentale puntello per i compagni, spesso troppo imprecisi, con la brutta tendenza a sbagliare passaggi a ripetizione, anche in disimpegno, con tutti i rischi annessi e connessi. Quando non c’è arrivato lui ci ha pensato Buffon a togliere le castagne dal fuoco, con interventi puntuali e preziosi, come deve saper fare il grande portiere di una grande squadra, che viene chiamato all’opera di rado ma che in quei frangenti fa la differenza.
Le ruggini della Juve sono emerse piuttosto evidenti, il peso della corsa di testa in campionato e delle crescenti responsabilità in Europa si fanno sentire e impongono un tributo pagato con carenza di brillantezza. Il rientro di Pirlo è stato celebrato dalla squadra con un’eccessiva dismissione di iniziativa nella costruzione della manovra, anche Bonucci si è costantemente affidato ad Andrea delegandogli ogni compito di impostazione e poiché il Professore è ovviamente ancora in rodaggio il gioco ne ha risentito, risultando particolarmente compassato. Tuttavia Pirlo ha lasciato il suo inimitabile segno con la genialata dell’assist in verticale per Morata che ha fruttato il rigore decisivo. Su questo contava Allegri quando ha optato per l’impiego del regista fin dall’inizio e i fatti gli hanno dato ragione.
Nel complesso una gran bella serata, in uno Stadium che si esalta respirando l’inebriante aria della Champions e già sogna di regalarsi un’altra notte così.